sabato 11 maggio 2019

Da "La Voce Alessandrina" ...


INTERVISTA A MONSIGNOR ALEJANDRO BUNGE
Strumenti di misericordia
«Il tribunale ecclesiastico aiuta a ricevere il dono che il Signore ci offre»

Nato a Buenos Aires il 21 novembre 1951, mon­signor Alejandro Bunge è prelato uditore del Tribunale della Rota Romana, nominato da papa Francesco nell’a­prile del 2013. Lo abbiamo conosciuto all’ultimo ap­puntamento dei Martedì di Quaresima, quando insie­me con il nostro vescovo, monsignor Guido Gallese, e con il vicario giudizia­le, monsignor Massimo Marasmi, ha inaugurato l’anno giudiziario del no­stro tribunale ecclesiastico diocesano. Il giorno dopo, il 10 aprile, monsignor Bunge è passato a trovarci in re­dazione, e noi ne abbiamo approfittato per fargli qual­che domanda, incoraggiati anche dalla sua disponibili­tà. Il suo modo di fare, così semplice e profondo, ci ha ricordato uno stile molto “argentino”: quello del San­to Padre Francesco, che ha voluto accanto a sé alla Rota Romana proprio monsignor Bunge, suo colla­boratore sin dai tempi in cui il Papa era “semplicemen­te” il Cardinal Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Bue­nos Aires.

Monsignore, come valuta la presenza di un tribunale ecclesiastico in una dio­cesi?
«Mi riempie di gioia! Il tribunale è una funzione eminentemente pastorale, e consiste nel fare arrivare i doni della salvezza nei casi dei matrimoni nulli, tramite la sentenza con cui si dichiara la nullità, una volta verificata. Quanto più il tribunale è vicino alle persone, tanto più sarà faci­le per loro ricevere il dono che il Signore vuole offrire. Questa è stato uno dei prin­cipi guida della riforma del processo matrimoniale di papa Francesco».

Il Papa sta rinnovando diverse norme canoniche. È possibile trovare un filo che le accomuna, secondo lei?
«Il filo si trova nel mot­to del Papa, che troviamo nel suo stemma: “Miseran­do atque eligendo”. Evoca l’incontro di Gesù con un pub­blicano, che Egli guardò con mise­ricordia e chiamò perché diventas­se suo discepolo. È questo il filo di papa Francesco: es­sere noi strumenti della misericordia di Dio che sceglie qualcuno per arrivare a tutti. Per questo il Pontefice tante volte dice: “Io sono peccatore”. Ma il Signore ha nel suo cuore spazio per tutte le nostre miserie. Questa è la mise­ricordia».

Quale contributo posso­no dare le scienze giuri­diche alla Chiesa di Fran­cesco?
«Una delle prime cose che mi ha domandato papa Francesco, quando ancora era l’arcivescovo di Buenos Aires, è stata proprio que­sta: “A cosa serve il diritto canonico?”. E io: “Serve per avvicinare i doni del Signore ai fedeli, è uno strumento pastorale”. Lui, sorridendo, mi ha risposto: “Sì, va bene, è così. Tranne quando lo si usa per ten­dere trappole al Vangelo!”. Il diritto in quanto tale è un grande strumento, se usato con senso comune ma soprattutto con fedeltà al Vangelo».

Quali sono i capi di nul­lità “nuovi” rispetto alla tradizione canonistica?
«La risposta è molto facile: non ci sono capi “nuo­vi”, ma nuove circostanze che rendono più frequen­ti alcuni dei vecchi capi di nullità. Per esempio: nel nostro tempo, in cui i contenuti della fede non passano facilmente, è mol­to frequente che i fedeli cresciuti in una cultura di “mondanità”, parola che il Papa usa spesso, non si ren­dano pienamente conto di che cosa sia il matrimonio; oppure escludano dal con­senso matrimoniale le sue proprietà essenziali, come per esempio l’indissolu­bilità. Un consenso matri­moniale basato sull’errore è un consenso nullo. Si dice “sì” a qualcosa che non è il vero matrimonio, ma una rappresentazione falsata».

Come si potrebbe inter­venire per “migliorare” la consapevolezza sul matri­monio cristiano?
«Questa risposta l’ha data il Papa negli ultimi discor­si alla Rota Romana. Lui sa che vengono letti dai giudici rotali, da quelli di tutta la Chiesa, e anche da chi si dedica alla pastorale matrimoniale. Francesco ci ha parlato diverse volte di quello che lui chiama ca­tecumenato matrimoniale. E cioè: non bastano due o tre chiacchiere come pre­parazione al matrimonio. Ci vuole una lunga strada, sia prima che dopo il matri­monio, per accompagnare chi si sposa a scoprire e a vivere il sacramento. Un po’ come si faceva nella Chiesa primitiva con il battesimo: chi si presentava per essere battezzato veniva accom­pagnato durante tutta la preparazione, chiamata appunto catecumenato battesimale, fino a quando poteva essere presentato al vescovo. Una volta battez­zato, veniva accompagnato nei suoi primi passi da cristiano. E proprio questo è il catecumenato matri­moniale: accompagnare e formare quelli che voglio­no sposarsi, sia prima sia dopo la celebrazione».
Andrea Antonuccio

venerdì 10 maggio 2019




La "LOCANDA della MISERICORDIA"  
(Collegio Universitario Santa Chiara, via Volturno 18, Alessandria)
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