INTERVISTA
A MONSIGNOR ALEJANDRO BUNGE
Strumenti di misericordia
«Il tribunale
ecclesiastico aiuta a ricevere il dono che il Signore ci offre»
Nato a Buenos Aires il 21 novembre 1951, monsignor Alejandro Bunge
è prelato uditore del Tribunale della Rota Romana, nominato da papa Francesco
nell’aprile del 2013. Lo abbiamo conosciuto all’ultimo appuntamento dei
Martedì di Quaresima, quando insieme con il nostro vescovo, monsignor Guido
Gallese, e con il vicario giudiziale, monsignor Massimo Marasmi, ha inaugurato
l’anno giudiziario del nostro tribunale ecclesiastico diocesano. Il giorno
dopo, il 10 aprile, monsignor Bunge è passato a trovarci in redazione, e noi
ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda, incoraggiati anche dalla
sua disponibilità. Il suo modo di fare, così semplice e profondo, ci ha ricordato uno stile molto “argentino”:
quello del Santo Padre Francesco, che ha voluto accanto a sé alla Rota Romana
proprio monsignor Bunge, suo collaboratore sin dai tempi in cui il Papa era
“semplicemente” il Cardinal Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos
Aires.
Monsignore, come valuta la presenza di un tribunale
ecclesiastico in una diocesi?
«Mi riempie di gioia! Il tribunale è una funzione eminentemente pastorale,
e consiste nel fare arrivare i doni della salvezza nei casi dei matrimoni
nulli, tramite la sentenza con cui si
dichiara la nullità, una volta verificata. Quanto più il tribunale è vicino
alle persone, tanto più sarà
facile per loro ricevere il dono che il Signore vuole offrire. Questa è stato
uno dei principi guida della riforma del processo matrimoniale di papa
Francesco».
Il Papa sta rinnovando diverse norme canoniche. È possibile trovare un filo che le accomuna, secondo lei?
«Il filo si trova nel motto del Papa, che troviamo nel suo stemma:
“Miserando atque eligendo”. Evoca l’incontro di Gesù con un pubblicano, che
Egli guardò con misericordia e chiamò perché diventasse suo discepolo. È
questo il filo di papa Francesco: essere noi strumenti della misericordia di
Dio che sceglie qualcuno per arrivare a tutti. Per questo il Pontefice tante
volte dice: “Io sono peccatore”. Ma il Signore ha nel suo cuore spazio per
tutte le nostre miserie. Questa è la misericordia».
Quale contributo possono dare le scienze giuridiche alla Chiesa di Francesco?
«Una delle prime cose che mi ha domandato papa Francesco, quando ancora era
l’arcivescovo di Buenos Aires, è stata proprio questa: “A cosa serve il
diritto canonico?”. E io: “Serve per avvicinare i doni del Signore ai fedeli, è
uno strumento pastorale”. Lui, sorridendo, mi ha risposto: “Sì, va bene, è
così. Tranne quando lo si usa per tendere trappole al Vangelo!”. Il diritto in
quanto tale è un grande strumento, se usato con senso comune ma soprattutto con
fedeltà al Vangelo».
Quali sono i capi di nullità “nuovi” rispetto alla tradizione canonistica?
«La risposta è molto facile: non ci sono capi “nuovi”, ma nuove
circostanze che rendono più frequenti alcuni dei vecchi capi di nullità. Per
esempio: nel nostro tempo, in cui i contenuti della fede non passano
facilmente, è molto frequente che i fedeli cresciuti in una cultura di
“mondanità”, parola che il Papa usa spesso, non si rendano pienamente conto di
che cosa sia il matrimonio; oppure escludano dal consenso matrimoniale le sue
proprietà essenziali, come per esempio l’indissolubilità. Un consenso matrimoniale
basato sull’errore è un consenso nullo. Si
dice “sì” a qualcosa che non è il vero matrimonio, ma una rappresentazione
falsata».
Come si potrebbe intervenire per “migliorare” la consapevolezza sul matrimonio
cristiano?
«Questa risposta l’ha data il Papa negli ultimi discorsi alla Rota Romana.
Lui sa che vengono letti dai giudici rotali, da quelli di tutta la Chiesa, e
anche da chi si dedica alla pastorale matrimoniale. Francesco ci ha parlato
diverse volte di quello che lui chiama catecumenato matrimoniale. E cioè: non
bastano due o tre chiacchiere come preparazione al matrimonio. Ci vuole una
lunga strada, sia prima che dopo il matrimonio, per accompagnare chi si sposa
a scoprire e a vivere il sacramento. Un po’ come si faceva nella Chiesa
primitiva con il battesimo: chi si presentava per essere battezzato veniva
accompagnato durante tutta la preparazione, chiamata appunto catecumenato
battesimale, fino a quando poteva essere presentato al vescovo. Una volta
battezzato, veniva accompagnato nei suoi primi passi da cristiano. E proprio
questo è il catecumenato matrimoniale: accompagnare e formare quelli che vogliono
sposarsi, sia prima sia dopo la celebrazione».
Andrea Antonuccio