lunedì 27 gennaio 2020

15 Febbraio: FESTA DEGLI INNAMORATI




L'Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia propone per il 15 febbraio un pomeriggio per festeggiare "l'amore"! Un momento per parlare insieme al nostro Vescovo dell'amore e ascoltare  esperienze di giovani coppie. Uno spettacolo di parole e musica per divertirci un po’ grazie alla bravura di tre artisti. Un piacevole aperitivo, per trascorrere simpaticamente ancora del tempo in compagnia ... continuando a fare festa!
Perché questa festa ? E per chi?
La festa è, come sempre rivolta a tutti, vorremmo, però, raggiungere soprattutto le coppie, le giovani coppie. Sono stati, infatti, invitati “a raccontarsi”, due  fidanzati e due prossimi sposi. Questo in conformità, anche, con la proposta di “lavoro” della Commissione Regionale di Pastorale Famigliare che in questi ultimi anni si è focalizzata sulla preparazione dei fidanzati al Sacramento del matrimonio cristiano e all’accompagnamento delle giovani coppie di sposi nei loro primi anni di matrimonio.  
I membri dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia, grazie all’esperienze fatte partecipando, chi a Gruppi Famiglia, chi al movimento Equipe Notre Dame, si sono trovati più volte di fronte all’interrogativo di cosa voglia dire essere sposi, sperimentando che l’amore, perché cresca va continuamente nutrito.
Ci è, perciò, sembrato utile proporre un momento di riflessione su temi come:
Che cosa ci ha spinto a cercarci più di ogni altra cosa?
Com’è nato il desiderio di fare comunione, il bisogno di completarci, integrando quello che uno è, con quanto l’altro può offrire? Sentiamo dentro di noi la gioia di incontrarci, o meglio ri-incontrarci consapevoli di essere, uno per l’altro, un dono (il dono di Dio) che ci fa crescere nella capacità di amare (come Lui vuole)?
Fidanzarsi e sposarsi nella Chiesa, che valore, che significato ha oggi?
Come ci ricorda papa Francesco nel discorso d’inaugurazione dell’anno giudiziario alla Rota Romana: “Gli sposi cristiani dovrebbero apprendere da Aquila e Priscilla come innamorarsi di Cristo e farsi prossimi alle famiglie …” ancora: “Sorprende a distanza di tanti secoli, l’immagine moderna di questi santi sposi in movimento perché Cristo sia conosciuto”.
Gli sposi cristiani hanno il diritto/dovere di mantenere viva, dinamica la loro relazione, di essere sposi in movimento, itineranti, sposi che arricchiscono il loro amore per essere capaci di andare verso gli altri! 
E, concedeteci un’altra citazione: “Dalla relazione famigliare che due coniugi sanno instaurare prende vita la Chiesa. Ciò che accade all’inizio dell’era cristiana (Aquila e Priscilla) sembra presentarsi come la via attesa dalla Chiesa per il terzo millennio: non ci sarà Chiesa credibile se non sarà Chiesa domestica”. (A. Fumagalli – 2001)


LA LOCANDA DELLA MISERICORDIA PROSEGUE ...




domenica 26 gennaio 2020

Giornata Nazionale per la Vita 2 febbraio 2020


Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente
per la 42ª Giornata Nazionale per la Vita
2 febbraio 2020

Aprite le porte alla Vita


Desiderio di vita sensata

1. “Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?” (Mt 19,16). La domanda che il giovane rivolge a Gesù ce la poniamo tutti, anche se non sempre la lasciamo affiorare con chiarezza: rimane sommersa dalle preoccupazioni quotidiane. Nell’anelito di quell’uomo traspare il desiderio di trovare un senso convincente all’esistenza.
Gesù ascolta la domanda, l’accoglie e risponde: “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti” (v. 17). La risposta introduce un cambiamento – da avere a entrare – che comporta un capovolgimento radicale dello sguardo: la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte. Così la vita nel tempo è segno della vita eterna, che dice la destinazione verso cui siamo incamminati.


Dalla riconoscenza alla cura

2. È solo vivendo in prima persona questa esperienza che la logica della nostra esistenza può cambiare e spalancare le porte a ogni vita che nasce. Per questo papa Francesco ci dice: “L’appartenenza originaria alla carne precede e rende possibile ogni ulteriore consapevolezza e riflessione”[1]. All’inizio c’è lo stupore. Tutto nasce dalla meraviglia e poi pian piano ci si rende conto che non siamo l’origine di noi stessi. “Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione. Vivere significa necessariamente essere figli, accolti e curati, anche se talvolta in modo inadeguato”[2].
È vero. Non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati: numerose sono le forme di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso.
Davanti a queste azioni disumane ogni persona prova un senso di ribellione o di vergogna. Dietro a questi sentimenti si nasconde l’attesa delusa e tradita, ma può fiorire anche la speranza radicale di far fruttare i talenti ricevuti (cfr. Mt 25, 16-30). Solo così si può diventare responsabili verso gli altri e “gettare un ponte tra quella cura che si è ricevuta fin dall’inizio della vita, e che ha consentito ad essa di dispiegarsi in tutto l’arco del suo svolgersi, e la cura da prestare responsabilmente agli altri”[3].
Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi. Nasce da qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia.
La cura del corpo, in questo modo, non cade nell’idolatria o nel ripiegamento su noi stessi, ma diventa la porta che ci apre a uno sguardo rinnovato sul mondo intero: i rapporti con gli altri e il creato[4].


Ospitare l’imprevedibile

3. Sarà lasciandoci coinvolgere e partecipando con gratitudine a questa esperienza che potremo andare oltre quella chiusura che si manifesta nella nostra società ad ogni livello. Incrementando la fiducia, la solidarietà e l’ospitalità reciproca potremo spalancare le porte ad ogni novità e resistere alla tentazione di arrendersi alle varie forme di eutanasia[5].
L’ospitalità della vita è una legge fondamentale: siamo stati ospitati per imparare ad ospitare. Ogni situazione che incontriamo ci confronta con una differenza che va riconosciuta e valorizzata, non eliminata, anche se può scompaginare i nostri equilibri.
È questa l’unica via attraverso cui, dal seme che muore, possono nascere e maturare i frutti (cf Gv 12,24). È l’unica via perché la uguale dignità di ogni persona possa essere rispettata e promossa, anche là dove si manifesta più vulnerabile e fragile. Qui infatti emerge con chiarezza che non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri. Il frutto del Vangelo è la fraternità.




[1]     Papa Francesco, Humana communitas. Lettera per il XXV anniversario della istituzione della Pontificia Accademia per la Vita, 6 gennaio 2019, 9.
[2]     Ibidem.
[3]     Ibidem.
[4]     Cfr. Papa Francesco, Enciclica Laudato si’, 155: “L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accet­tare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul pro­prio corpo si trasforma in una logica a volte sotti­le di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia uma­na”
[5]     Cfr. Papa Francesco, Discorso ai membri dell’associazione italiana di oncologia (AIOM), 2 settembre 2019.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO
DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA
Sala Clementina
Sabato, 25 gennaio 2020


Signor Decano,
Reverendissimi Prelati Uditori,
cari Officiali nella Rota Romana!
Sono felice di potermi oggi incontrare con voi in occasione dell’inaugurazione del Nuovo Anno Giudiziario di codesto Tribunale. Ringrazio vivamente Sua Eccellenza il Decano per le nobili parole a me rivolte e per i saggi propositi metodologici formulati.
Desidero ricollegarmi alla catechesi svolta nell’udienza generale di mercoledì 13 novembre 2019, offrendo oggi a voi un’ulteriore riflessione sul ruolo primario della coppia di sposi Aquila e Priscilla come modelli di vita coniugale. Infatti la Chiesa, per seguire Gesù, deve operare secondo tre condizioni avvalorate dallo stesso divino Maestro: itineranzaprontezza e decisione (cfr Angelus, 30 giugno 2019). La Chiesa è, per sua natura, in movimento, non resta tranquilla nel proprio recinto, è aperta ai più vasti orizzonti. La Chiesa è inviata a portare il Vangelo nelle strade e raggiungere periferie umane ed esistenziali. Ci fa ricordare la coppia di sposi neotestamentaria Aquila e Priscilla.
Lo Spirito Santo ha voluto porre accanto all’Apostolo [Paolo] questo esempio mirabile di coppia di sposi itineranti: difatti, sia negli Atti degli Apostoli sia nella descrizione di Paolo non sono mai fermi, ma sempre in continuo movimento. E ci domandiamo come mai questo modello di sposi itineranti non abbia avuto, nella pastorale della Chiesa, una propria identità di sposi evangelizzatori per molti secoli. È quello di cui avrebbero bisogno le nostre parrocchie, soprattutto nelle zone urbane, nelle quali il parroco e i suoi collaboratori chierici mai potranno avere tempo e forza per raggiungere fedeli che, pur dichiarandosi cristiani, restano assenti dalla frequenza dei Sacramenti e privi, o quasi, della conoscenza di Cristo.
Sorprende quindi, a distanza di tanti secoli, l’immagine moderna di questi santi sposi in movimento perché Cristo sia conosciuto: evangelizzavano essendo maestri della passione per il Signore e per il Vangelo, una passione del cuore che si traduce in gesti concreti di prossimità, di vicinanza ai fratelli più bisognosi, di accoglienza e di cura.
Nel proemio alla riforma del Processo matrimoniale, ho insistito sulle due perle: prossimità e gratuità. Non va dimenticato questo. San Paolo trovò in questi sposi il modo di essere prossimo ai lontani, e li amò vivendo con loro più di un anno, a Corinto, perché sposi maestri di gratuità. Tante volte sento paura davanti al giudizio di Dio che noi avremo su queste due cose. Nel giudicare, sono stato prossimo al cuore della gente? Nel giudicare, ho aperto il cuore alla gratuità o sono stato preso da interessi commerciali? Il giudizio di Dio sarà molto forte su questo.
Gli sposi cristiani dovrebbero apprendere da Aquila e Priscilla come innamorarsi di Cristo e farsi prossimi alle famiglie, prive spesso della luce della fede, non per la loro colpa soggettiva, ma perché lasciate al margine della nostra pastorale: pastorale d’élite che dimentica il popolo.
Quanto vorrei che questo discorso non restasse soltanto una sinfonia di parole, ma spingesse, da una parte, i pastori, i vescovi, i parroci a cercare di amare, come fece l’Apostolo Paolo, coppie di sposi quali missionari umili e disponibili a raggiungere quelle piazze e quei palazzi delle nostre metropoli, nelle quali la luce del Vangelo e la voce di Gesù non giunge e non penetra. E, d’altra parte, sposi cristiani che abbiano l’ardire di scuotere il sonno, come fecero Aquila e Priscilla, capaci di essere agenti non diciamo in modo autonomo, ma certo carichi di coraggio fino al punto di svegliare dal torpore e dal sonno i pastori, forse troppo fermi o bloccati dalla filosofia del piccolo circolo dei perfetti. Il Signore è venuto a cercare i peccatori, non i perfetti.
San Paolo VI, nella Lettera Enciclica Ecclesiam suam, osservava: «Bisogna, prima ancora di parlare, ascoltare la voce, anzi, il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo» (n. 90). Ascoltare il cuore dell’uomo.
Si tratta, come ho raccomandato ai Vescovi italiani, di «ascoltare il gregge, […] porsi accanto alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti» (Discorso all’Assemblea generale della C.E.I., 19 maggio 2014).
Dobbiamo essere consapevoli che non sono i pastori ad inventare, con la loro umana intraprendenza – sia pure in buona fede – le sante coppie cristiane; esse sono opera dello Spirito Santo, che è il protagonista della missione, sempre, e sono già presenti nelle nostre comunità territoriali. Sta a noi pastori illuminarle, dare loro visibilità, farne sorgenti di nuova capacità nel vivere il matrimonio cristiano; e anche custodirle perché non cadano nelle ideologie. Queste coppie, che lo Spirito certamente continua ad animare, devono essere pronte «a uscire da se stessi, aprirsi agli altri, a vivere la prossimità, lo stile di vita insieme, che trasforma ogni relazione interpersonale in un’esperienza di fraternità» (Catechesi 16 ottobre 2019). Pensiamo al lavoro pastorale nel catecumenato prematrimoniale e post-matrimoniale: sono queste coppie che devono farlo e andare avanti.
Occorre vigilare perché non cadano nel pericolo del particolarismo, scegliendo di vivere in gruppi prescelti; al contrario, occorre «aprirsi all’universalità della salvezza». Infatti, se siamo grati a Dio per la presenza nella Chiesa di movimenti e associazioni che non trascurano la formazione di sposi cristiani, d’altronde si deve con forza affermare che la parrocchia è per sé il luogo ecclesiale dell’annuncio e della testimonianza; perché è in quel contesto territoriale che già vivono sposi cristiani degni di far luce, i quali possono essere testimoni attivi della bellezza e dell’amore coniugale e familiare (cfr Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 126-130).
L’azione apostolica delle parrocchie, dunque, nella Chiesa si illumina della presenza di sposi come quelli del Nuovo Testamento, descritti da Paolo e da Luca: mai fermi, sempre in movimento, certamente con prole, secondo quanto ci è tramandato dall’iconografia delle Chiese orientali. Pertanto, i Pastori si lascino illuminare dallo Spirito anche oggi, affinché si avveri questo annuncio salvifico da parte di coppie spesso già pronte, ma non chiamate. Ci sono.
Ecco, di coppie di sposi in movimento necessita oggi la Chiesa, dovunque nel mondo; partendo però idealmente dalle radici della Chiesa dei primi quattro secoli e cioè dalle catacombe, come fece San Paolo VI alla fine del Concilio recandosi nelle Catacombe di Domitilla. In quelle Catacombe, quel santo Pontefice affermò: «Qui il cristianesimo affondò le sue radici nella povertà, nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza di ingiuste e sanguinose persecuzioni; qui la Chiesa fu spoglia di ogni umano potere, fu povera, fu umile, fu pia, fu oppressa, fu eroica. Qui il primato dello Spirito di cui ci parla il Vangelo ebbe la sua oscura, quasi misteriosa, ma invitta affermazione, la sua testimonianza incomparabile, il suo martirio» (Omelia, 12 settembre 1965).
Se lo Spirito non è invocato e dunque rimane sconosciuto e assente (cfr Omelia a S. Marta, 9 maggio 2016) nel contesto delle nostre Chiese particolari, saremo privi di quella forza che faccia delle coppie di sposi cristiani l’anima e la forma dell’evangelizzazione. In concreto: vivendo la parrocchia come quel territorio giuridico-salvifico, perché «casa tra le case», famiglia di famiglie (cfr Omelia ad Albano, 21 settembre 2019); Chiesa – cioè parrocchia – povera per i poveri; catena di sposi entusiasti e innamorati della loro fede nel Risorto, capaci di una nuova rivoluzione della tenerezza dell’amore, come Aquila e Priscilla, mai appagati o ripiegati su sé stessi.
Verrebbe da pensare che questi santi sposi del Nuovo Testamento non ebbero tempo di mostrarsi stanchi. Così, in effetti, sono descritti da Paolo e da Luca, per i quali furono compagni quasi indispensabili, proprio perché non chiamati da Paolo ma suscitati dallo Spirito di Gesù. È qui che si fonda la loro dignità apostolica di sposi cristiani. È lo Spirito che li ha suscitati. Pensiamo a quando arriva il missionario in un posto: lì già c’è lo Spirito Santo che lo aspetta. Certo, lascia alquanto perplessi il fatto del lungo silenzio, nei secoli trascorsi, su queste sante figure della prima Chiesa.
Invito e sollecito i fratelli Vescovi e i Pastori tutti a indicare questi santi sposi della prima Chiesa come compagni fedeli e luminosi dei Pastori di allora; come sostegno, oggi, ed esempio di come gli sposi cristiani, giovani e anziani, possano rendere il matrimonio cristiano sempre fecondo di figli in Cristo. Dobbiamo essere convinti, e vorrei dire sicuri, che nella Chiesa simili coppie di sposi sono già un dono di Dio e non per nostro merito, per il fatto che sono frutto dell’azione dello Spirito, che mai abbandona la Chiesa. Piuttosto, lo Spirito si attende l’ardore da parte dei Pastori, affinché non venga spenta la luce che queste coppie diffondono nelle periferie del mondo (cfr Gaudium et spes, 4-10).
Lasciate, perciò, che rinnovi lo Spirito a non rassegnarsi a una Chiesa di pochi, quasi a gradire di rimanere solo lievito isolato, privi di quella capacità degli sposi del Nuovo Testamento di moltiplicarsi nell’umiltà e nell’obbedienza allo Spirito. Lo Spirito che illumina ed è capace di rendere salvifica la nostra attività umana e la nostra stessa povertà; è capace di rendere salvifica tutta la nostra attività; restando convinti che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione – la testimonianza di queste persone attira –, e assicurando sempre e comunque la firma della testimonianza.
Di Aquila e Priscilla non sappiamo se morirono martiri, ma di certo essi sono, per i nostri sposi di oggi, segno del martirio, almeno spirituale, cioè testimoni capaci di essere lievito che va nella farina, di essere lievito nella massa, che muore per diventare la massa (cfr Discorso alle Associazioni di famiglie cattoliche in Europa, 1 giugno 2017). Questo è possibile oggi, dovunque.
Cari Giudici della Rota Romana, il buio della fede o il deserto della fede che le vostre decisioni, a partire già da un ventennio, hanno denunciato come possibile circostanza causale della nullità del consenso, offrono a me, come già al mio predecessore Benedetto XVI (cfr Allocuzioni alla Rota Romana 23 gennaio 2015 e 22 gennaio 201622 gennaio 2011; cfr art. 14 Ratio procedendi del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus), il motivo di un grave e pressante invito ai figli della Chiesa nell’epoca che viviamo, a sentirsi tutti e singoli chiamati a consegnare al futuro la bellezza della famiglia cristiana.
La Chiesa necessita ubicunque terrarum di coppie di sposi come Aquila e Priscilla, che parlino e vivano con l’autorità del Battesimo, che «non consiste nel comandare e farsi sentire, ma nell’essere coerenti, essere testimoni e per questo essere compagni di strada nella via del Signore» (Omelia a S. Marta, 14 gennaio 2020).

Rendo grazie al Signore perché dà ancora oggi ai figli della Chiesa il coraggio e la luce per tornare agli inizi della fede e ritrovare la passione degli sposi Aquila e Priscilla, che siano riconoscibili in ogni matrimonio celebrato in Cristo Gesù.